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Paura

29 Maggio 2020da studiosilviamartinelligmailcom

“Al suo rientro a casa, Soufi è terrorizzato. Non dice niente ai genitori, perché non lo ascolterebbero o si preoccuperebbero troppo. Quella notte riesce ad addormentarsi solo grazie al leggero russare del fratello, che lo rassicura. L’indomani, la paura non si è placata, anzi. Dopo una giornataccia, la notte si rivela catastrofica, batte i denti fino al mattino. Si sente circondato da fantasmi minacciosi. E’ convinto che diventerà matto, che perderà la memoria e la ragione, che bisognerà rinchiuderlo in ospedale o in prigione.”
(Tratto e adattato da “Verte” di Marie Desplechin – Ed. L’école des Loisirs, 2007).

La paura, elemento ambiguo in tutte le storie.
Da una parte, è considerata una grande alleata degli esseri viventi, perché permette di rilevare i pericoli e di sopravvivere fuggendo o affrontandoli. Dall’altra, questa emozione rappresenta anche una spia difettosa, che talvolta si accende e allerta, anche in assenza di un effettivo pericolo. La paura è come un ospite imprevisto, che talvolta col suo citofonare ci salva la pelle interrompendo una situazione altrimenti fatale, mentre altre volte cade come un capello nella zuppa rompendo un’atmosfera magica.

Il manifestarsi della paura non sempre è adeguato, tuttavia, in ragione del fatto che può salvarci la vita, tendiamo a concedergli qualche irruzione inopportuna, un po’ come se sentirla troppo spesso fosse meno peggio che non sentirla abbastanza. Anzi, qualche volta siamo proprio noi a ricercare le sensazioni, anche fisiche, associate alla paura. Non parliamo qui di situazioni realmente rischiose, come gli sport estremi, ma di quelle forme di intrattenimento che solleticano la paura senza scomodare il rischio di morire. I film horror, la suspense di un romanzo, la casa dei fantasmi al luna park, quei brividi che ci mettono in contatto con una dimensione di terrore. Sembra quasi che una parte di noi nutra curiosità verso questo elemento ambiguo, tanto da esserne attratta, da volerlo avvicinare.

In ogni caso, sia la paura qualcosa di reale, sia essa qualcosa di artificialmente costruito da un bravo scrittore o sceneggiatore, abbiamo bisogno che finisca. Abbiamo bisogno che la suspense sia limitata nel tempo, che il film o il libro giunga al termine, che arrivi l’uscita dalla casa dei fantasmi, perché la paura è stancante da sostenere. Il nostro organismo viene potentemente sollecitato e restare in allerta risulta logorante. Ma dove ci si rifugia in caso di paura? Qual è la salvezza, il maniglione anti-panico? La risposta ce la dà Soufi: il russare del fratello. A permetterci di tollerare la paura è la consapevolezza di possedere un luogo sicuro, la certezza di una presenza rassicurante, un qualcosa che ci fa sentire protetti. Possiamo fronteggiare la paura vera e quella costruita artificialmente se abbiamo una sicurezza interna alla quale aggrapparci, se dentro di noi possediamo un posto sicuro dove immaginare di tornare, una volta passato il peggio.

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Milano S. Ambrogio progetto per sé progetto per se psicologia psicologo Silvia Martinelli

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